mercoledì 21 maggio 2014

CARS motori ruggenti

Ovvero, come una vera amicizia ti cambia la vita

Parliamo ovviamente del famoso cartoon della Pixar che ultimamente mio figlio mi ha obbligato a vedere infinite volte, quasi tutte le sere, e debbo ringraziarlo per questo perché a volte noi adulti andiamo troppo di fretta e appena vista una cosa ci siamo già stufati, vogliamo sempre nuove emozioni o nuove storie, invece soffermarsi a guardare sempre la stessa cosa ci fa entrare nei particolari più profondi di essa e credo che questo i bambini lo abbiano chiaro fin dalla nascita. I problemi sono di noi adulti che ci facciamo scivolare le cose addosso troppo velocemente e alla fine non ci gustiamo nulla o poco delle cose belle della vita, eh si, perché questo atteggiamento spesso, non rimane legato ad un film, ma ce lo trasciniamo in tutte le cose che facciamo. Personalmente, invece di stufarmi, ogni giorno di più mi sono innamorato di questo cartoon fino ad averne imparato a memoria tante battute. Mi sono trovato a commuovermi perché quello che questo film vuole dirci é la storia di ciascuno di noi, i protagonisti sono macchine, ma l'allusione con le nostre vite é chiarissima. Non voglio scrivere una recensione perché ho fatto caso che se ne trovano milioni, ma voglio riportare quello che più mi ha colpito perché c'entra con la mia vita. Il protagonista si chiama Saetta mcqueen un novellino nel mondo delle corse automobilistiche che tiene testa, col suo potente motore, ai più grandi campioni del momento tanto da ritrovarsi nella fase finale del campionato Piston Cup. Come tanti giovani, lui é uno che non ha bisogno di nessuno, che si sente il padrone del mondo perché il successo gli ha offuscato la mente e quello che a lui interessa non é solo vincere, ma stravincere facendo qualcosa di straordinario. Non accetta consigli da nessuno, nemmeno dal suo capo squadra, che possiede un minimo di esperienza. Nella gara finale succede però qualcosa di inatteso, mentre si accinge al traguardo, non essendosi fermato per la sosta ai box, é primo a pochi metri dall'arrivo quando gli esplodono due pneumatici. Si accorge della leggerezza avuta ma non vuole rinunciare al titolo per nessun motivo e prova a procedere ugualmente, nel frattempo sopraggiungono i due veterani delle corse, King e Chick Hicks. Tagliano il traguardo tutti contemporaneamente e i giudici decidono di fare una corsa di spareggio in California nella prossima settimana. Macqueen snobba il suo sponsor che, per un nuovo delle corse, é più che sufficiente anche se non possiede le potenzialità della squadra che lui adora e a cui aspira a divenire membro, la Dynoco, il team di the King. Durante il viaggio a Los Angeles, colpa di un incidente, ma anche della sua voglia di arrivare prima di tutti, cade dal camion rimorchio e si perde. Inseguendo quello che crede il suo amico Mac, si ritrova in una cittadina chiamata Radiator Springs dove combina un bel guaio, inseguito dalla polizia per paura fugge e distrugge tutta la strada principale, viene quindi arrestato e messo in deposito. Il giudice, Doc, che altri non é che Il famoso Hudson hornet, fuggito dal mondo delle corse quando ancora era giovane, lo condanna a riparare tutta la strada. Il primo incontro amichevole, che ha in paese é con Carl attrezzi o anche detto Cricchetto, un carroattrezzi dal cuore buono che diviene subito suo amico. Purtroppo Saetta snobba anche lui, perché é una vecchia auto arrugginita, ma l'amico gli vuole bene lo stesso. Saetta inizia la riparazione della strada, ma per la fretta di tornare al suo mondo, fa un pessimo lavoro e allora Doc, gli propone una scommessa, fare una gara con lui, e Macqueen accetta subito, visto che all'apparenza Doc gli sembrava una vecchia auto. Se avesse vinto lui, se ne sarebbe andato, altrimenti avrebbe dovuto ricominciare il lavoro da capo. La gara si svolge su un terreno sderrato, allla partenza, Saetta, brucia di gran lunga Hudson, ma alla prima curva finisce fra gli spini. Ovviamente ripescato da cricchetto deve continuare la sistemazione della strada. Tutto sembra contro di lui e per niente orientato verso il grande trofeo, ma non é così, colpito nell'orgoglio saetta inizia un cammino che durerà una settimana o poco meno, che lo porterà ad abbandonarsi all'idea di sistemare la strada, ma allo stesso tempo vuole a tutti i costi riuscire a fare quella curva. Effettua un bel lavoro ogni giorno tanto che inizia a diventare amico degli abitanti e non più delinquente, tutto il paese é costretto a rinnovare i negozi, che adesso stonano rispetto alla strada, e anche se la cittadina é semi abbandonata, tutti si mettono a ristrutturarla per bene. Nasce un bel rapporto di amicizia con i paesani e anche un piccolo amore con Sally, l'avvocato del paese. Con lo scorrere del tempo si crea un bel clima familiare tra i paesani e Saetta e cricchetto diventa il suo migliore amico, insieme ne combinano delle belle, adesso lo spettro delle corse sembra svanito ed é nata una bella amicizia tra tutti, la strada viene ultimata e Radiator Springs torna al suo antico splendore, e cioè prima che per via dell'autostrada venisse tagliata fuori dal mondo. Una sera però questo bel clima viene interrotto da i giornalisti che, avvertiti da Doc, ritrovano Macqueen e lo riportano suo malgrado nel suo mondo, senza avere la possibilità di salutare nessuno. Saetta si ritrova quindi in pista a disputare la gara che tanto attendeva, ma distratto dal pensiero fisso degli amici che gli avevano cambiato la vita e purtroppo senza una squadra, ora che aveva capito quanto fosse utile. Inizia la gara con poca voglia di correre, ma ad un tratto viene avvertito per radio da Hudson Hornet, che ora é la sua squadra insieme a tanti degli amici di Radiator Springs, commosso si riprende e inizia la vera corsa per il titolo. Rientra in prima posizione, ma Chick Hicks, é disposto a tutto pur di non arrivare ultimo e con una scorrettezza, manda fuori pista il buon King che si ritrova fuori gara e semidistrutto. Saetta si accorge dagli schermi di tutto questo e quando ormai é ad un metro dal traguardo, cambiato da una vera amicizia, si ferma e torna indietro per soccorrere l'amico. Perde ovviamente la gara, ma gli applausi sono tutti per lui, perché in quel mondo non c'è spazio per il prossimo e nessuno mai avrebbe voluto rinunciare ad un premio tanto ambito. Gli onori più grandi sono per lui e anche la Dynoco si muove nei suoi confronti per offrirgli un contratto e lui anche se meravigliato dice di no, perché ha capito l'importanza delle cose. Il suo sponsor, anche se non tra quelli di punta, gli ha dato fiducia fin dall'inizio e una grossa possibilità che sarebbe potuta non esserci, quella di entrare in quel mondo. Nella mente ormai solo il suo piccolo paesino, ci torna subito e con la sua ormai grande notorietà, lo fa tornare in voga. Beh, una bella storia, che mi commuove ogni volta e non mi stanco mai di rivedere. Ci ho visto tante assonanze con la mia vita, ad esempio Radiator Springs assomiglia molto a Pimlico (una non bella cittadina inglese cara al nostro Chesterton) che può essere se stessa e può diventare bella, solo quando viene veramente amata da chi ci abita. Ci ho visto la storia di un' amicizia che ti cambia la vita, anche con fatica, a volte, ma che é sempre determinante perché quando si é soli, tanti bei sogni che possono diventare realtà, nemmeno si soffermano nelle nostre menti, rimangono nel mondo dei sogni. Posso invece dire di essere stato toccato e di vivere una vera amicizia che mi ha cambiato la vita e da anni rende possibili tante cose che sono per me ormai la normalità, la quotidianità. Dico questo perché purtroppo conosco e incontro tante persone che vivono spesso in affanno (e mi spiace) perché fanno fatica a mettersi in cammino, il bel cammino verso Nostro Signore, che non é per niente semplice, ma a conti fatti c'è molto di più da guadagnarci a starne dentro. Più o meno il centuplo.

domenica 2 gennaio 2011

Con 3 piedi sul San Matteo, in escursione con Oliviero Bellinzani

Roberto e Oliviero in vetta
Nonostante i 2.560 metri del Rifugio Berni e la notte serena, la mattina era piuttosto calda e lasciava presagire una giornata di sole caldissima sul ghiacciaio, tanto più che la partenza era stata ritardata alle 6 anziché alle 5. La neve nei pendii di accesso al vallone del ghiacciaio di Dosegù era infatti piuttosto bagnata e rendeva il cammino difficoltoso per i tratti in cui si affondava. Era così per me e per gli altri cinque amici con cui avevamo progettato la salita dei 3.678 m del Monte San Matteo, nel gruppo dell’Ortles-Cevedale, ma per uno di loro era anche peggio, dovendo fare affidamento su un solo piede e due stampelle.
Già, risalire un lungo ghiacciaio saltellando su una gamba e appoggiandosi su due stampelle con dei dischi di gomma per non affondare nella neve… Ma Oliviero era ben abituato a tale fatica, dopo trent’anni e più di 600 cime salite così. Si risvegliò dal coma senza la gamba sinistra dopo un incidente in moto intorno ai venti anni, e da quel giorno la sua vita cambiò. Sparì una gamba ma spuntarono le ali, nella sua testa prima di tutto, così dopo soli sei mesi era di nuovo in montagna ad imparare a camminare di nuovo e scalare come poteva. Col tempo affinò la tecnica, l’equilibrio, la volontà, l’allenamento e tornò a scalare montagne che anche poche persone con due gambe scalano, come il Cervino, il Gran Capucin, lo spigolo nord del Pizzo Badile e centinaia di altre cime, per roccia e per ghiaccio.
Conoscendo le sue imprese non mi preoccupai di proporgli una salita in ghiacciaio, pur sapendo che preferiva la roccia, sapevo bene che avrebbe fatto le scarpe a tutti, pian piano, semplicemente camminando su una gamba e due stampelle. Ma la neve fonda all’inizio del percorso non era stato un buon modo di cominciare la giornata, comportando tanta fatica inutile in più e rallentandoci un bel po’. Gli altri quattro, Marco, Matteo, Piercarlo e Emanuele, erano un bel po’ avanti ed ogni tanto si fermavano ad aspettarci, ciononostante continuavamo ad accumulare ritardo. Ad una loro proposta di lasciar perdere la salita al San Matteo e salire una cima più bassa e vicina in modo da restare tutti insieme, Oliviero rispose che eravamo lì per il San Matteo e quello doveva essere. Io ero d’accordo con lui e così proseguimmo. Ma gli imprevisti continuavano a presentarsi: affondamenti sulla neve, pause, una stampella che perde una vite ed il puntale (per fortuna Oliviero aveva un set di ricambi)…
Ad una ulteriore sosta dopo aver raggiunto gli altri dico a Marco di lasciarmi la corda da 30 m e di andare avanti loro facendo cordata a quattro, noi saremmo arrivati.
“Sei sicuro?”, credo abbia chiesto qualcuno.
“Ho esperienza più che sufficiente per affrontare questa salita e Oliviero ne ha più di noi tutti messi insieme, per cui proseguiamo”, risposi.
Fu in quel momento che la mia determinazione prese il sopravvento definitivamente, mi disse che saremmo arrivati in vetta anche io e lui e non mi abbandonò fino al rientro in rifugio, 11 ore dopo la partenza. Poco prima, data la lentezza e il tempo che passava, avevo avuto un momento di dubbio, pensando che forse sarebbe stato meglio lasciar perdere perché ci avremmo messo una vita a salire. Ma poi è scattato qualcosa in me, partendo da una specie di preghiera rivolta a me stesso, e mi sono detto che avrei camminato al suo fianco fino in cima.
Arrivati sul ghiacciaio la neve era finalmente ben dura e si procedeva senza affondare, ramponi ai piedi e speditamente. Dopo il primo ripiano quasi orizzontale un tratto più ripido portava alla seraccata di destra del ghiacciaio di Dosegù. Tutti salivano sul lungo pendio all’estrema destra che evitava il pendio con i crepacci, effettuando un percorso più largo e lungo, di conseguenza più faticoso. Io e Oliviero decidiamo di risalire il ripido pendio ghiacciato dato che i crepacci erano ben coperti di neve dura e c’era già una traccia che saliva, risparmiando così tempo e fatica. Il ghiacciaio era in condizioni perfette, completamente coperto di neve dura e così non ci leghiamo per tutta la salita fino alla sella sotto la cima. Lungo il pendio ripido si intuiva qualche taglio che segnalava la presenza di crepacci sottostanti e infatti una delle stampelle di Oliviero si infila in un buco e si storce sotto il peso di Oliviero che ci cadde sopra.
“E’ proprio una giornata sfigata”, dice lui.
Io mi limito a premere con una mano sulla stampella curvata e appoggiata alla neve dura, raddrizzandola in un attimo.
“E’ addirittura più dritta di prima, bravo!” mi dice.
Sbuffa un po’ per la fatica e gli imprevisti, così gli chiedo semplicemente: “Dubbi?”. “No!”, risponde con decisione e fermezza. Il tono e la tranquillità di quel “no” mi fà capire con chi ho a che fare e che quel giorno avremmo messo 3 piedi sulla cima del San Matteo.
Usciti dal pendio crepacciato riprendiamo la salita nella massima tranquillità, alternando zone quasi pianeggianti a tratti più ripidi e faticosi, per lo più fianco a fianco chiacchierando beatamente, tant’è che non sentivo la fatica per l’aumento di quota e il mio scarso allenamento. Gli altri alpinisti e scialpinisti che passavano si fermavano e guardarci, a fare delle foto, a parlare con Oliviero, a complimentarsi increduli per la sua forza di volontà. Già, un esempio per tutti, prima di tutto per me che ogni tanto mi lamento di fastidi ai muscoli delle gambe che negli ultimi anni mi danno il tormento. Ma la lezione di Oliviero è semplice: “i nostri limiti sono prima di tutto nella nostra testa”, come dice lui.
Così, dopo 5 ore di chiacchiere, cammino, foto, filmati di lui che sale, e ancora discorsi sulla montagna, le cime, le vie, le persone, la famiglia, il passato, gli amici, i figli raggiungiamo beatamente e senza fiatone la sella a oltre 3.500 m sotto la cima. C’è ancora la maggior parte degli altri alpinisti che sta scendendo faccia a monte sul tratto ripido e gradinato che dalla sella porta al pendio finale o che era ferma a riposare sulla sella. Ci riposiamo un po’ anche noi e ci leghiamo in cordata lasciando gli zaini sulla sella, Oliviero mette delle punte apposite alle stampelle in modo da ramponare anche quelle e poi mi avviai verso la rampa ghiacciata lasciandolo presso una nicchia fra roccia e neve ad aspettare il recupero della corda. Il pendio è ripido ma con grossi buchi delle impronte di passaggio e si saliva senza alcuna difficoltà, tant’è che in un attimo mi ritrovo sulla cresta chiedendomi come mai tutti facessero tante difficoltà a salirlo e scenderlo… Dopo aver piantato per bene la piccozza nella neve dura ed aver agganciato un moschettone recupero la corda e dico ad Oliviero di salire. Per un momento mi sono detto “Ma guarda cosa stai facendo, stai recuperando come tuo compagno di cordata un personaggio come Oliviero Bellinzani, l’uomo con le ali che senza una gamba in montagna, e nella vita, ha superato difficoltà più gradi di quanto tu potrai mai fare”. Mi sento contento ed onorato di averlo accompagnato in questa salita. Infatti lo ho solo accompagnato, camminandogli a fianco o dietro o davanti, non lo ho portato su io, ma la sua forza fisica e di volontà.
Il pendio ripido comporta qualche difficoltà in più per lui, ma io lo lascio salire senza tenerlo in tiro, come avrei fatto con qualsiasi altro compagno di cordata al mio pari. Un basso gradino di roccia da risalire, un tratto di larga cresta e poi il pendio finale a 45°. Lì incontriamo gli altri amici che scendoano, non li avevamo più visti, ma vederli lì sotto la cima mi sorprese un po’: o ci avevano aspettato ancora o dopotutto non eravamo andati poi così piano! Qualche battuta con loro, qualche altra chiacchiera con la gente che si fermava a complimentarsi con Oliviero, fra cui varie persone che aveva incontrato su altre cime chissà dove, e dopo cinque ore e quaranta minuti di salita siamo a pochi metri dalla vetta. Oliviero mi chiede di farlo passare avanti per arrivare in vetta per primo e gli lascio volentieri il posto, non aveva di certo bisogno di me come guida! Pochi metri di cresta e siamo sulla bianca punta del San Matteo, a 3.678 m di altezza, sotto un cielo blu ed un sole scintillante. Una stretta di mano, come sempre quando si arriva in cima, qualche foto, una pausa chiacchierando con altri sulla vetta, una veloce contemplazione delle cime e dei ghiacciai intorno e giù per il pendio, faccia a valle per entrambi, fino alla cresta. Lì faccio di nuovo sicura a Oliviero che poi si slega e prosegue da solo fino alla sella. Recupero la corda, scendo il ripido tratto sempre faccia a valle e lo raggiungo. Il resto del popolo della montagna è già sceso, ci sono ancora due persone in cima, e altri sei ritardatari che salgono. Ci rifocilliamo un po’ e poi giù per il ghiacciaio.
Sotto il sole cocente la neve stava mollando e si comincia ad affondare, ma non troppo, procediamo veloci fino al pendio crepacciato e lo discendiamo lungo il percorso di salita. Oliviero si diverte in una bella scivolata seduto con freno-stampella anziché freno-piccozza! Nella parte bassa del ghiacciaio decidiamo di tagliare verso destra per evitare il resto di nevaio e il pendio morenico del mattino che lo aveva fatto sgobbare. Già dal mattino avevamo deciso che saremmo scesi sul lato scoperto in modo da sfruttare rocce e sassi su cui lui cammina più agevolmente. Iniziamo così un percorso del tutto nuovo, seguendo alcuni ometti che ci portano su un dosso su cui finiscono.
Da lì ci inventiamo il percorso scendendo brevi risalti rocciosi, qualche campo di neve, sassi e ghiaie, fino a raggiungere il lato opposto del vallone dopo aver attraversato il torrente su un ponte di neve. Scendiamo agevolmente con il solito orientamento a vista, io vado avanti in avanscoperta e un paio di volte da dietro Oliviero mi corregge la direzione. Tendo a distaccarlo un po’, ma continuo a tenerlo a vista e so sempre dove si trova. La discesa da quel lato del vallone è piuttosto lunga e il caldo la rende più faticosa. Nella parte bassa troviamo una traccia sbiadita, chissà da quanti anni nessuno passa di lì, e alla fine raggiungiamo il letto del torrente e il ponte dell’amicizia che ci riporta al sentiero per il rifugio Berni. Ancora campi di neve, prati zuppi d’acqua, prati fioriti e infine il rifugio. Io tendo a velocizzare il passo, ma Oliviero è giustamente stanco almeno quanto me, e mi dice di salutarci lì così posso andare a casa, dato che avevo un po’ di premura di tornare in tempo per mettere a nanna il mio bimbo.
“Siamo partiti insieme e torniamo insieme”, gli rispondo.
“Questa è una bella cosa”, dice lui, “il mio amico Max mi avrebbe lasciato qua…”.
Un cartello segnaletico indica il sentiero per il San Matteo: tempo 5 ore, noi ne abbiamo impiegate 5 e 40 minuti, pause comprese, direi buono!
Dopo 11 ore torniamo al punto di partenza. Il rifugiata si complimenta con noi, ci ha seguito con il binocolo in salita e discesa. Lo lascio chiacchierare con Oliviero, io non ho fatto niente di speciale, lui sì! Telefono a casa, dovrei arrivare per le ore 20, in tempo per abbracciare Alessandro e dargli la buona notte. Ringrazio Oliviero, gli stringo forte la mano e gli do’ appuntamento ad una futura uscita, stavolta in roccia. Prima di salire in auto guardo un’ultima volta la vetta del San Matteo con il bianco fazzoletto del ghiacciaio ai suoi piedi, lo ringrazio, oggi mi ha permesso di fare qualcosa di speciale: salire la sua cima con tre piedi!
Roberto Ciri

Finisce un 2010 di falsi allarmi e di crisi sottovalutate; e tutto questo non per pura casualità, ma per un clima culturale omologante che intorbidisce l’aria, come succedeva, con note diverse, cinquant’anni fa.

In una nota canzone (“What did you learn at school today?”) il grande Pete Seeger, maestro di Bruce Springsteen, diceva: “Cosa hai imparato a scuola oggi, bambino mio?” e il bambino rispondeva le frasi stereotipate della cultura di allora, suscitando le risate nella vastissima platea: “Ho imparato che Washington non diceva mai bugie / che i soldati muoiono solo qualche volta / che tutti siamo liberi / che i nostri leader sono le persone migliori / che tutti pagano per i loro crimini, anche se ogni tanto ci sbagliamo a giudicarli / Ho imparato che la guerra non è così male / Questo ho imparato oggi a scuola!”. Era il 1960 e negli USA si lottava contro la segregazione razziale e la pena di morte.

E oggi? Nell’anno 2010 abbiamo avuto un florilegio almeno in campo medico e bioetico, di una cultura appiattita, monotona, pesante. Potrebbe dire così un lettore dei giornali di oggi: “Ho imparato che ogni anno c’è un’epidemia che distruggerà il mondo anche se poi tutte fanno meno morti di un’influenzetta / che fare figli a 50 anni è come farli a 20 / che è amore dare la cicuta al suicida / che i feti non sentono dolore perché dormono / che il mondo sarà distrutto dal surriscaldamento / che la neve che vedo fuori della finestra è neve ora che Bush se ne è andato, ma finché governava Bush era lava vulcanica e sabbia del deserto / che è giusto premiare col Nobel una ricerca di 30 anni fa ma molto quotata dalla cultura dominante mentre i giovani ricercatori non hanno fondi / che il mondo si è creato da sé anzi lo ha creato la forza di gravità / che la forza di gravità non può essersi creata da sé ma questo non importa / Ecco cosa ho imparato oggi!”.

Dite se non avete sentito tutti queste notizie, se queste hanno avuto un serio dibattito, o se sono state generosamente elargite come verità rivelata. Abbiamo la coscienza di quanto terrore venga profuso da tanti giornali nella vita di tutti i giorni, su probabili fini del mondo, su crisi annunciate, su tragedie personali spettacolarizzate e rese attrazione? Quanta faciloneria nel trattare i temi della medicina, dove non si spiegano i rischi delle “novità politicamente corrette” come la diagnosi preimpianto, le pillole abortive, le gravidanze rimandate troppo! E quanto silenzio sulla bellezza della vita prenatale, della maternità che nelle pubblicità vale meno di un paio di scarpe, delle persone con handicap e di chi le assiste.

Ora vogliamo sentirci dire: “Abbiamo sbagliato!”. Ci farebbe piacere come regalo di Natale e proposito di fine anno. I nostri figli, noi stessi, le persone malate, tutti lo aspettiamo con ansia. Per tutto questo, per le paure provocate, per i rischi sottovalutati, per i vagoni di relativismo etico riversati sulle nostre teste… cari giornalisti che ce le avete propinati nel 2010, chiedeteci almeno scusa!

giovedì 1 ottobre 2009

Se non ami

Il testo di una delle ultime canzoni di Nek

Puoi decidere le strade che farai puoi
scalare le montagne oltre i limiti che hai
potrai essere qualcuno se ti va ma
se non ami se non ami non hai un vero motivo motivo per vivere
se non ami non ti ami e non ci sei
se non ami non ha senso tutto quello che fai
puoi creare un grande impero intorno a te
costruire grattaceli e contare un po' di più
puoi comprare tutto quello che vuoi tu ma
se non ami se non ami
non hai un vero motivo per vivere
se non ami non ti ami e non ci sei
se non ami se non ami
non hai il senso delle cose più piccole
le certezze che non trovi e che non dai
l' amore attende e non è invadente
e non grida mai
se parli ti ascolta
tutto sopporta
crede in quel che fai
e chiede di esser libero alle porte
e quando torna indietro ti darà di più
se non ami se non ami tutto il resto sa proprio di inutile
se non ami non ti ami non ci sei...
senza amore noi non siamo niente mai...


Personalmente non sono un sostenitore di Nek anche se ha una bella voce, ma ascoltando
questa canzone l'ho trovata molto bella e piena di senso.
Nella vita possiamo fare di tutto come dice il cantautore, ma senza amore non siamo niente, lo stesso Amore per il quale siamo stati voluti dal Creato.

lunedì 9 marzo 2009

Meraviglioso

Canzone di Domenico Modugno


Meraviglioso
E' vero credetemi è accaduto
di notte su di un ponte guardando l'acqua scura
con la dannata voglia di fare un tuffo giù uh
D'un tratto qualcuno alle mie spalle
forse un angelo vestito da passante
mi portò via dicendomi Così ih:
Meraviglioso ma come non ti accorgi
di quanto il mondo sia meraviglioso
Meraviglioso perfino il tuo dolore
potrà guarire poi meraviglioso
Ma guarda intorno a te che doni ti hanno fatto:
ti hanno inventato il mare eh!
Tu dici non ho niente Ti sembra niente il sole!
La vita l'amore Meraviglioso
il bene di una donna che ama solo te meraviglioso
La luce di un mattino l'abbraccio di un amico
il viso di un bambino meraviglioso
meraviglioso...ah!...
Ma guarda intorno a te che doni ti hanno fatto:
ti hanno inventato il mare eh!
Tu dici non ho niente Ti sembra niente il sole!
La vita l'amore meraviglioso
La notte era finita e ti sentivo ancora
Sapore della vita Meraviglioso
Meraviglioso
Meraviglioso
Meraviglioso
Meraviglioso
Meraviglioso
Meraviglioso

Leggete attentamente le parole della famosa canzone è bellissima.
E' proprio vero quello che dice Modugno abbiamo tante cose meravigliose intorno a noi e neanche ce ne accorgiamo.

martedì 24 febbraio 2009

Luigi Giussani


Quello sguardo è ancora presente
Antonio Socci
lunedì 23 febbraio 2009

Spesso ai miei figli ho desiderato parlare degli occhi di don Giussani. Del suo sguardo. Perché gli amici di Gesù finiscono per somigliargli, per avere lo stesso cuore e lo stesso sguardo. Noi abbiamo potuto accorgercene. La nostra generazione ha avuto questa sfacciata fortuna. Questa Grazia. Noi che abbiamo potuto ascoltare don Giussani, conoscerlo, parlarci. Guardarlo parlare. Noi che ci siamo sentiti guardare, uno per uno, ognuno – anche fra altri diecimila – in una maniera esclusiva, che abbracciava la mia anima, la tua anima. Con una stima indomabile in noi che stava insieme a una infinita misericordia. Il suo sguardo diceva a ciascuno di noi: “io sono con te!”. Era veramente con me, più di me stesso. Mi avrebbe difeso contro il mondo intero. Anzi, mi ha difeso contro il mondo intero. Ha scommesso su di me anche dopo mille miei errori. Mi ha abbracciato dopo mille cadute. (E come lui anche i suoi figli, i miei fratelli, lo fanno). Questo è quello che si percepiva. E che abbiamo visto con i nostri occhi. E che continua ad accadere.

E pensando al suo sguardo e al suo volto mi viene in mente quando raccontava certi episodi del Vangelo. Li avevi letti tante volte, li avevi sentiti una miriade di volte, ma con lui succedeva una cosa strana: li faceva accadere. Lì, davanti ai tuoi occhi. Ti sembrava di vederli, ti sembrava di sentirli per la prima volta. Ti sembrava che lui li avesse visti. Che lui ci fosse quel giorno con Gesù.

Viene in mente, pensando a don Giussani, ciò che Hauviette – nel “Mistero della carità” di Péguy – diceva a Giovanna d’Arco: «Tu vedi. Tu vedi. Quello che sappiamo, noi altri, tu lo vedi. Quello che c’insegnano, a noi altri, tu lo vedi. Il catechismo, tutto il catechismo, e la chiesa, e la messa, tu non lo sai, tu lo vedi, e la tua preghiera non la dici, non la dici soltanto, tu la vedi. Per te non ci sono settimane. E non ci sono giorni. Non ci sono giorni nella settimana; e non ore nella giornata. Tutte le ore per te suonano come la campana dell’Angelus. Tutti i giorni sono domeniche e più che domeniche e le domeniche più che domeniche».

La generazione dei nostri figli non ha visto lo sguardo che ha incantato e fatto fiorire la nostra giovinezza. Io mi sono sentito dire: “beati voi”. E’ vero. Beati.

Anche la Giovanna d’Arco di Péguy, pensando a coloro che poterono vedere Gesù, dice così: «Felici coloro che bevevano lo sguardo dei tuoi occhi». E dice ancora: «Voi avete visto il colore dei suoi occhi; avete udito il suono delle sue parole. Voi avete udito il suono stesso della sua voce. Come dei fratelli minori vi siete rifugiati nel calore, nel tepore del suo sguardo. Vi siete riparati, vi siete messi al coperto al riparo della bontà del suo sguardo. Di voi stessi ebbe pietà davanti a quella folla. Gesù, Gesù, ci sarai mai così presente».

“Egli è qui”, così Madre Garvaise risponde a questo grido di Giovanna. E anche attraverso il volto dei santi Gesù raggiunge ogni generazione. Nei secoli. Attraverso lo sguardo, il volto, la voce di don Giussani ci ha raggiunto lo sguardo, il volto, la voce di Gesù. E si vive per questo. Per vedere ogni giorno, di nuovo, il suo sguardo che “ebbe pietà di noi”. Per risentirlo parlare e accadere. Oggi proprio come allora. Come don Gius ripeteva sempre, con le parole di Moelher: «Io credo che non potrei più vivere se non lo sentissi più parlare».

Ma “Egli è qui”.

lunedì 9 febbraio 2009

Eluana Englaro - lettera aperta di Pietro Crisafulli, fratello di Salvatore, "risvegliatosi" dallo stato vegetativo.

E' importante che le persone anche quelle più semplici sappiano come stanno effettivamente le cose.
Questo articolo viene dal sito di TGCOM.
"Eluana non voleva morire"
Lettera aperta di Pietro Crisafulli 4/2/09
La redazione di Tgcom ha ricevuto questa lettera da Pietro Crisafulli (fratello di Salvatore che nel 2005 si risvegliò dopo due anni di stato vegetativo nel quale era caduto dopo un grave incidente stradale) e ha deciso di pubblicarla integralmente:
"Le bugie del padre Beppino"
In questi giorni di passione e sofferenza, nei quali stiamo seguendo con trepidazione il "viaggio della morte" di Eluana Englaro, non posso restare in silenzio di fronte a un evento così drammatico.Era il maggio del 2005 quando per la prima volta ho conosciuto Beppino Englaro. Eravamo entrambi invitati alla trasmissione "Porta a Porta". Da quel giorno siamo rimasti in contatto ed amici, ci siamo scambiati anche i numeri di telefono, per sentirci, parlare, condividere opinioni. Nel marzo del 2006 andai in Lombardia, a casa di Englaro, in compagnia di un conoscente (...).Dopo l'appello a Welby da parte di Salvatore, Beppino capì che noi eravamo per la vita. Da quel momento le strade si divisero.All'epoca anch'io ero favorevole all'eutanasia. Facemmo anche diverse foto insieme, e visitai la città di Lecco. Nella circostanza Beppino Englaro mi fece diverse confidenze, tra le quali che i rappresentanti nazionali del Partito Radicali erano suoi amici. Ma soprattutto, mentre eravamo a cena in un ristorante, in una piazza di Lecco, ammise una triste e drammatica verità.
Beppino Englaro si confidò a tal punto da confessarmi, in presenza di altre persone, che 'non era vero niente che sua figlia avrebbe detto che, nel caso si fosse ridotta un vegetale, avrebbe voluto morire'. In effetti, Beppino, nella sua lunga confessione mi disse che alla fine, si era inventato tutto perché non ce la faceva più a vederla ridotta in quelle condizioni. Che non era più in grado di sopportare la sofferenza e che in tutti questi anni non aveva mai visto miglioramenti. Entro' anche nel dettaglio spiegandomi che i danni celebrali erano gravissimi e che l'unica soluzione ERA FARLA MORIRE e che proprio per il suo caso, voleva combattere fino in fondo in modo che fosse fatta una legge, proprio inerente al testamento biologico.In quella circostanza anch'io ero favorevole all'eutanasia e gli risposi che l'unica soluzione poteva essere quella di portarla all'estero per farla morire, in Italia era impossibile in quanto avevamo il Vaticano che si opponeva fermamente.Ma lui sembrava deciso, ostinato e insisteva per arrivare alla soluzione del testamento biologico, perché era convinto che con l'aiuto del partito dei Radicali ce l'avrebbe fatta. (...)Questa è pura verita'. Tutta la verita'. Sono fatti reali che ho tenuto nascosto tutti questi anni nei quali comunque io e i miei familiari, vivendo giorno dopo giorno accanto a Salvatore, abbiamo fatto un percorso interiore e spirituale. Anni in cui abbiamo perso la voce a combattere, insieme a Salvatore, a cercare di dare una speranza a chi invece vuol vivere, vuol sperare e ha diritto a un'assistenza e cure adeguate. E non ci siamo mai fermati nonostante le immense difficoltà e momenti nei quali si perde tutto, anche le speranze.E non ho mai reso pubbliche queste confidenze, anche perché dopo aver scritto personalmente a Beppino Englaro, a nome di tutta la mia famiglia, per chiedere in ginocchio di non far morire Eluana, di concedere a lei la grazia, fermare questa sua battaglia per la morte, pensavo che si fermasse, pensavo che la sua coscienza gli facesse cambiare idea. Ma invece no. Lui era troppo interessato a quella legge, a quell'epilogo drammatico. La conferma arriva, quando invece di rispondermi Beppino Englaro, rispose il Radicale Marco Cappato, offendendo il Cardinale Barragan, ma in particolare tutta la mia famiglia. Troverete tutto nel sito internet www.salvatorecrisafulli.itNoi tutti siamo senza parole e crediamo che il caso di Eluana Englaro sia l'inizio di un periodo disastroso per chi come noi, ogni giorno, combatte per la vita, per la speranza. Per poter smuovere lo stato positivamente in modo che si attivi concretamente per far vivere l'individuo, non per ucciderlo.Vorrei anche precisare che dopo quegli incontri e totalmente dal Giugno del 2006, fino a oggi, io e Beppino Englaro non ci siamo più sentiti nemmeno per telefono, nonostante ci siamo incontrati varie volte in altri programmi televisivi"
Pietro Crisafulli